Il dipendente che, avvalendosi dei permessi previsti dalla legge 104 del 1992, si dedica ad attività estranee al familiare di cui si prende cura, pone in essere un comportamento che integra l’ipotesi dell’abuso di diritto. La sua condotta è lesiva per il datore di lavoro, ma anche per l’ente di previdenza, configurando così una percezione indebita dell’indennità e uno sviamento dell’intervento assistenziale.
Ma quando si può parlare di attività personali incompatibili con i permessi di cui alla legge 104?
Con la recente sentenza numero 23891/18 la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha escluso che il dipendente in questione, andando a fare la spesa, facendo commissioni in banca o ancora incontrando un architetto, utilizzasse i permessi per scopi personali. Tali attività sono state tutte ricollegate a specifici interessi ed utilità della persona assistita.
Quindi, sebbene l’utilizzo dei permessi previsti dalla legge 104 a scopo personale sia una condotta censurabile e connotata da disvalore sociale, non può comunque ritenersi che l’assistenza al familiare disabile debba essere intesa solo ed esclusivamente come assistenza personale presso il suo domicilio. Di conseguenza, compiere commissioni di vario genere nell’interesse dell’assistito non legittima il licenziamento per giusta causa.
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